LA CULTURA DELLA SICUREZZA....
Immaginiamo un mondo dove le persone si sentono protette e al sicuro, dove il lavoro significa salute e sicurezza, le persone non sono guidate dagli obblighi ma ispirate dai sentimenti e dove si ama la sicurezza come si ama la vita.
Invece in Italia ogni giorno 3 persone perdono la vita sul posto di lavoro e altre 9 muoiono sulle strade, spesso nel tragitto casa-lavoro, e i numeri a livello internazionale sono ancora più impressionanti: si contano 6.300 vittime ogni giorno e 600 persone ogni minuto hanno un incidente sul lavoro. È il bollettino di una guerra che continuiamo a combattere, e a perdere.
Chiunque sia entrato in contatto con questa drammatica realtà, non può non convenire su un punto: la scoraggiante stupidità della maggior parte degli incidenti. Disattenzione, disorganizzazione, eccesso di confidenza, scarsi investimenti per la sicurezza, sottovalutazione del pericolo, abitudini scorrette, fretta, superficialità, strafottenza e credersi superiori al rischio, sono spesso i veri assassini. È chiaro, quindi, che la risposta non può limitarsi a leggi e a sanzioni sempre più severe.
Bisogna cambiare i nostri comportamenti, la nostra cultura. Un’impresa tra le più difficili al mondo, perché la cultura si fonda sull’abitudine – la nostra zona di comfort, da cui abbiamo paura a uscire: tenendoci al sicuro fra le nostre certezze, però, mettiamo in atto una resistenza al cambiamento.
Tuttavia, per quanto difficile, il cambiamento culturale è possibile. Pensiamo al fumo nei locali chiusi, una volta ampiamente tollerato, o alle cinture di sicurezza, che sono lentamente diventate una buona abitudine (purtroppo solo sui sedili anteriori però).
Certo, le leggi servono, ma a fare la differenza è una diversa sensibilità culturale delle persone. Non avverrà mai nessun grande cambiamento se non ci sono persone che hanno il coraggio di prendere decisioni scomode, a partire da piccole azioni coraggiose: pensiamo a Rosa Parks, a Gandhi, a Nelson Mandela. E non avverrà mai nessun grande cambiamento se non c’è coinvolgimento. Perché il cambiamento si realizzi è necessario coinvolgere la sfera emotiva: facendo leva sui sentimenti, si portano le persone ad abbandonare lo status quo e a modificare le proprie abitudini.